La Roma esonera De Rossi: così il business licenzia la passione

DiGiulia Sonnino

Set 18, 2024
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È durata la miseria di 611 giorni. Ed è finita nel peggiore dei modi possibili. Un annuncio sul sito ufficiale, senza tuoni che annunciassero la bufera. Daniele De Rossi non è più l’allenatore della Roma, la squadra che in campo aveva difeso per 18 anni e che da allenatore ha potuto guidare per 8 mesi appena. Era stato la scialuppa di salvataggio del dopo Mourinho: la bandiera per evitare una sollevazione popolare. Poi era diventato la base di un progetto triennale: costruiamo per arrivare a un livello di competitività che riporti la Roma tra le grandi d’Italia. Ma quel progetto è durato il tempo di uno sbadiglio: 4 giornate di campionato e addio, Daniele. Senza un grazie, soprattutto senza uno scusa.

Chiunque prenderà il suo posto dovrà fare i conti con una città che ribolle di rabbia. Perché a Roma non c’è niente di più sacro del profano. E niente è più profano del calcio. Una passione che si alimenta di sentimenti, e De Rossi li incarna tutti: l’identità, l’appartenenza, il riconoscersi parte di qualcosa. L’allenatore con cui identificarsi, da chiamare per nome come l’amico al bar, che anche se sbaglia l’hai già perdonato, perché è uno dei tuoi.

E invece la Roma ha deciso di rompere l’incantesimo, e sarà interessante sapere se a scegliere siano stati i Friedkin o la plenipotenziaria Lina Souloukou con la sua guida spericolata. Certo la notizia che i due, padre e figlio, fossero piombati lunedì sera nella capitale suggeriva pensieri di imminenti tumulti. Un copione già visto a gennaio: l’arrivo a Roma, un caffè con De Rossi – allora tecnico disoccupato – e il colloquio con Mourinho per dirgli che no, la promessa di non esonerarlo mai non l’avrebbero rispettata. Via José, e grazie di nulla, nonostante la prima coppa vinta in 14 anni, nonostante la finale di Europa League a cui la Roma non arrivava da 32 anni.

No, la gratitudine non abita i cuori di chi guida la Roma. Nel business è così, ma siamo sicuri che questa squadra nata popolare possa davvero essere solo un’azienda? Così la definirono – l’azienda – quando nel 2019 diedero il benservito al De Rossi calciatore. Cinque anni dopo è cambiata la proprietà e l’amministrazione, non la filosofia. E quindi arrivederci Daniele, o forse no. Forse la storia d’amore con la Roma è finita così, dopo 4 giornate di un campionato anonimo, come quel pareggio a Genova. Un finale che ci ricorda, una volta di più, che nel calcio dei fondi di investimento e dei finanziamenti a fondo perduto, non c’è più posto per innamorarsi degli eroi.

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